Thursday 6 December 2012

Egle Roveri - Testo di Stefano Rotta


Egle Roveri è del 1922. Fuma nazionali e beve il suo bicchiere di rosso. Staffetta partigiana a Poggio Rusco, nel mantovano. Adesso vive a Sant’Antonino di Susa, ci è arrivata per l’amore della vita. Tav? «Cose brutte». Preferisce parlare dei suoi anni. «Ne ho prese, di botte. Quante case ho visto bruciare. Anche a un’amica». Una volta, a fine guerra, il padre le ha portato in casa un soldato delle SS ferito, lei l’ha medicato e gli ha cavato i panni, perché non lo ammazzassero i suoi. «In guerra siamo tutti uguali. Cose brutte. Anche adesso, chissà come va a finire. Qui si è sempre vissuto di quel che si ha. E’ brutto prendere le cose degli altri. Alla gente vengono a portar via i castagni. Ci sono sempre stati». Suo marito fu il partigiano Riccardo Martoia: un combattente, non un santo. Dopo la guerra prese parte a un plotone di esecuzione contro il podestà di Sant’Antonino, a sua volta fra i partecipanti alle fucilazioni dei partigiani della zona. Per il resto della vita, Egle fu bracciante. Zappa, forca, e caricare fieno. Dalle cinque del mattino. Piange, molto, riprendendo in mano le lettere scritte dal suo innamorato. Esiste e resiste anche lei, in Valsusa.
Stefano Rotta

Egle Roveri, staffetta partigiana, con lettere d’amore dell’epoca. Sant’Antonino di Susa




Val di Susa - Testo di Stefano Rotta


In valle Tav è maschile. «Il Tav», non «la Tav». Non si combatterebbe mai con la forza contro qualcosa di femminile. Così si può distinguere fra chi vive il tunnel di base come una ferita, e per chi invece «la» Tav è un pretesto: per ciarlare o per picchiare. I No Tav sono gente normale, spesso li trovi nei presidii come apache; hanno storie alle spalle, di radici e sogni spezzati, che li portano a resistere di fronte all’ingresso di un progresso che non vogliono così, nella loro valle, in casa loro: dove sono cresciuti così perché così è la montagna, aspra. Ne fanno una questione di saggezza popolare, di quota. I paragoni con il Vajont si sprecano. «I nostri vecchi non portavano a pascolare le bestie in certi prati. Le hanno viste morire, in circostanze inspiegabili. «E certo, qui dentro i monti c’è l’amianto, avranno mangiato qualcosa di fortemente cancerogeno. Lì non si è più tornati. Bisogna rispettare i segni. I confini. Scavare un tunnel qui sarebbe rovinoso per noi, per la Dora, per i nostri figli. Abbiamo già visto quel che è successo con l’autostrada, smarino buttato in fiume, e materiali tossici stipati nelle gallerie». Così dicono, i No Tav, nei giorni di piovaschi e schiarite, quando (spesso) in valle non ci sono manifestazioni, scontri, televisioni e curiosi. Ma presidii di montanari, e un esercito di caschi blu del Reparto Mobile, schierati nei boschi come soldati alla Fortezza Bastiani. Aspettano, trincerati nel cantiere della Val Clarea, chiuso dentro filo spinato palestinese, da striscia di Gaza, spesso spellando bastoncini di legno con il coltello da sopravvivenza. Fuori dalle grate, gli uomini del posto. Ci va la signora, con il k-way rosso, a pregare una statua di san Pio. Ci va il reduce del Checkpoint Pasta, Mogadiscio, 2 luglio 1993, con un pezzo di filo spinato nel cuore. Ci vanno le persone, quasi un pellegrinaggio silenzioso e continuo a vedere cosa succede. Capita che qualcuno corra in paese per portare la notizia che i giornali non danno, «hanno strappato i castagni, erano lì da trecento anni». Forse solo Dino Buzzati saprebbe intervistare i tronchi spezzati, raccogliendone i lamenti. Basta poco invece per riportare, nuda e cruda, la voce di Fatima Ipenza, peruviana. «Guardi qui, mi danno 23,25 euro l’anno di risarcimento per l’esproprio». Esatto. Una ventina di euro, i soldi di una pizzata, per 580 metri quadri di castagneto. Sono della nonna, Maria Belletto, valsusina con radici. Fatima è venuta in Italia dopo il colpo di stato di Alberto Fujimori, in cerca di un paese più libero. Si trova il Reparto Mobile sottocasa in pianta stabile, ma soprattutto le cartucce dei lacrimogeni nel vecchio mulino, dove gioca la piccola. Il gas Cs, nome comune per ortoclorobenzalmalononitrile, è in forza alla Polizia dal 1991. Ne arrivano quantità industriali, in Valsusa; i giorni più caldi sono stati fra il 27 giugno 2011 (sgombero del presidio della Maddalena) e il 3 luglio seguente. A Bussoleno durante l’occupazione dell’autostrada a seguito dell’incidente avvenuto a Luca Abbà, «sono state colpite anche alcune abitazioni», denuncia Alex Martoia, tecnico del suono, 39 anni, No Tav. Prosegue: «Alcuni manifestanti sono stati nascosti nelle case adiacenti lo svincolo fra Chianocco e Bussoleno, per non essere picchiati». In quel luogo e in quei giorni (come dimostrano le fotografie) sono stati malmenati anche anziani. Il Cs è un problema per i manifestanti, come ovvio, ma anche, alla lunga, per i vignaioli. Che si trovano uva infestata da sostanze chimiche non simpatiche. Qui si produce Avanà: un vino di montagna, poco sole, carattere tenace. Massimo Amprimo, commerciante di vino, dice che alcuni produttori hanno trovato cartucce esauste in vigna. Di certo, la nebbia di Cs, sparati in grossa quantità (guardare i video in internet per credere), non ha fatto bene alle coltivazioni. Pierino Ronsil, che l’Avanà lo produce, dice che si può vendere, nonostante tutto. Sta di fatto che alcuni viticoltori stanno, privatamente, facendo analizzare le uve.
La baita Clarea è circondata da un muraglione, curata angolo per angolo da reparti di forze dell’ordine. All’interno vi sono anche scavi archeologici, pare si stiano trovando resti del neolitico. Fuori c’è una statua di san Pio. Ci viene spesso un gruppo di persone, chiamato «Cattolici per la valle», molto religiosi e molto impegnati per la causa. Non temono intemperie. Ne’ la promiscuità con le frange più esposte della sinistra o dell’anarchia. Altra storia più in basso, verso Torino. C’è gente, come Emiliano Valsania, artigiano, che dovrà spostarsi, visto che il suo capannone, posizionato proprio all’ingresso del tunnel nella montagna, verrà abbattuto.
Questi cantieri che assomigliano a fortini militari – lo Stato Italiano è presente in Italia con i Lince e i talvolta i Puma, blindati da guerra dell’Esercito – hanno per paradosso un effetto positivo sulla vallata. Una sorta di acceleratore sociale di particelle. La gente si conosce di più esce più di casa, partecipa ad assemblee, s’informa. «E’ uno scambio intellettuale fra migliaia di giovani», commenta Martoia. Per esempio, argomenta Max Forno, «abbiamo scoperto, autoinformandoci, che il campo da calcio di Giaglione è stato fatto con lo smarino di risulta dell’autostrada, e anche al piazzale della Maddalena, sotto il cemento, c’è porcheria. Bisognerebbe fare un carotaggio, e sputtanarli». Aggiunge, e questo basta per tutto, per tutti i fantasmi: «In Italia la polvere si scopa sempre sotto il tappeto».
Stefano Rotta


Marcia pacifica fra Giaglione (TO) e il cantiere della Val Clarea. 4 marzo 2012.



Fatima Ipenza, per l’esproprio del castagneto di famiglia, ha diritto ha un rimborso dallo Stato di 23.25 euro l’anno.

Alex Martoia, 39 anni, tecnico del suono, No Tav. Sant’Antonino di Susa, (TO)

Maschere antigas, per prevenire i lacrimogeni Cs usati dalle Forze dell’ordine.

Alex Martoia mostra il filo spinato “israeliano” con cui è presidiato il cantiere della Val Clarea.

Pierino Ronsil, vignaiolo. Chiomonte.



Barricate nel cantiere della Val Clarea, in attesa della ditta costruttrice, la Cmc di Ravenna. Chiomonte, 16 aprile 2012.


Nei castagneti della Val Clarea, cordone del Reparto Mobile. Protesta allegra di alcuni clown del gruppo





Edifici e capannoni che ospitano attività artigianali, saranno abbattuti, nel progetto di realizzazione del tunnel di base Tav verso la Francia. Vaie (TO)

Commerciante di Vino. Sant’Antonino di Susa.

Barricate nel cantiere della Val Clarea, in attesa della ditta costruttrice, la Cmc di Ravenna. Chiomonte, 16 aprile 2012.




Un No Tav riceve avvisi di garanzia a seguito dei fatti del 27 febbraio 2012, in cui cadde Luca Abba’.

Max Forno, anarchico, No Tav, reduce della missione Ibis in Somalia. Partecipò alla sanguinosa battaglia del Checkpoint Pasta.

Un anziano No Tav mostra le contusione seguite agli scontri con le forze dell’ordine.