In valle
Tav è maschile. «Il Tav», non «la Tav». Non si combatterebbe mai con la forza contro
qualcosa di femminile. Così si può distinguere fra chi vive il tunnel di base come
una ferita, e per chi invece «la» Tav è un pretesto: per ciarlare o per picchiare.
I No Tav sono gente normale, spesso li trovi nei presidii come apache; hanno
storie alle spalle, di radici e sogni spezzati, che li portano a resistere di
fronte all’ingresso di un progresso che non vogliono così, nella loro valle, in
casa loro: dove sono cresciuti così perché così è la montagna, aspra. Ne fanno
una questione di saggezza popolare, di quota. I paragoni con il Vajont si
sprecano. «I nostri vecchi non portavano a pascolare le bestie in certi prati.
Le hanno viste morire, in circostanze inspiegabili. «E certo, qui dentro i
monti c’è l’amianto, avranno mangiato qualcosa di fortemente cancerogeno. Lì
non si è più tornati. Bisogna rispettare i segni. I confini. Scavare un tunnel
qui sarebbe rovinoso per noi, per la Dora, per i nostri figli. Abbiamo già
visto quel che è successo con l’autostrada, smarino buttato in fiume, e
materiali tossici stipati nelle gallerie». Così dicono, i No Tav, nei giorni di
piovaschi e schiarite, quando (spesso) in valle non ci sono manifestazioni,
scontri, televisioni e curiosi. Ma presidii di montanari, e un esercito di caschi
blu del Reparto Mobile, schierati nei boschi come soldati alla Fortezza
Bastiani. Aspettano, trincerati nel cantiere della Val Clarea, chiuso dentro
filo spinato palestinese, da striscia di Gaza, spesso spellando bastoncini di
legno con il coltello da sopravvivenza. Fuori dalle grate, gli uomini del
posto. Ci va la signora, con il k-way rosso, a pregare una statua di san Pio. Ci
va il reduce del Checkpoint Pasta, Mogadiscio, 2 luglio 1993, con un pezzo di
filo spinato nel cuore. Ci vanno le persone, quasi un pellegrinaggio silenzioso
e continuo a vedere cosa succede. Capita che qualcuno corra in paese per
portare la notizia che i giornali non danno, «hanno strappato i castagni, erano
lì da trecento anni». Forse solo Dino Buzzati saprebbe intervistare i tronchi
spezzati, raccogliendone i lamenti. Basta poco invece per riportare, nuda e
cruda, la voce di Fatima Ipenza, peruviana. «Guardi qui, mi danno 23,25 euro
l’anno di risarcimento per l’esproprio». Esatto. Una ventina di euro, i soldi
di una pizzata, per 580 metri quadri di castagneto. Sono della nonna, Maria
Belletto, valsusina con radici. Fatima è venuta in Italia dopo il colpo di
stato di Alberto Fujimori, in cerca di un paese più libero. Si trova il Reparto
Mobile sottocasa in pianta stabile, ma soprattutto le cartucce dei lacrimogeni nel
vecchio mulino, dove gioca la piccola. Il gas Cs, nome comune per
ortoclorobenzalmalononitrile, è in forza alla Polizia dal 1991. Ne arrivano
quantità industriali, in Valsusa; i giorni più caldi sono stati fra il 27
giugno 2011 (sgombero del presidio della Maddalena) e il 3 luglio seguente. A
Bussoleno durante l’occupazione dell’autostrada a seguito dell’incidente
avvenuto a Luca Abbà, «sono state colpite anche alcune abitazioni», denuncia Alex
Martoia, tecnico del suono, 39 anni, No Tav. Prosegue: «Alcuni manifestanti
sono stati nascosti nelle case adiacenti lo svincolo fra Chianocco e Bussoleno,
per non essere picchiati». In quel luogo e in quei giorni (come dimostrano le
fotografie) sono stati malmenati anche anziani. Il Cs è un problema per i
manifestanti, come ovvio, ma anche, alla lunga, per i vignaioli. Che si trovano
uva infestata da sostanze chimiche non simpatiche. Qui si produce Avanà: un
vino di montagna, poco sole, carattere tenace. Massimo Amprimo, commerciante di
vino, dice che alcuni produttori hanno trovato cartucce esauste in vigna. Di
certo, la nebbia di Cs, sparati in grossa quantità (guardare i video in
internet per credere), non ha fatto bene alle coltivazioni. Pierino Ronsil, che
l’Avanà lo produce, dice che si può vendere, nonostante tutto. Sta di fatto che
alcuni viticoltori stanno, privatamente, facendo analizzare le uve.
La baita
Clarea è circondata da un muraglione, curata angolo per angolo da reparti di
forze dell’ordine. All’interno vi sono anche scavi archeologici, pare si stiano
trovando resti del neolitico. Fuori c’è una statua di san Pio. Ci viene spesso
un gruppo di persone, chiamato «Cattolici per la valle», molto religiosi e molto
impegnati per la causa. Non temono intemperie. Ne’ la promiscuità con le frange
più esposte della sinistra o dell’anarchia. Altra storia più in basso, verso
Torino. C’è gente, come Emiliano Valsania, artigiano, che dovrà spostarsi,
visto che il suo capannone, posizionato proprio all’ingresso del tunnel nella
montagna, verrà abbattuto.
Questi
cantieri che assomigliano a fortini militari – lo Stato Italiano è presente in
Italia con i Lince e i talvolta i Puma, blindati da guerra dell’Esercito –
hanno per paradosso un effetto positivo sulla vallata. Una sorta di
acceleratore sociale di particelle. La gente si conosce di più esce più di
casa, partecipa ad assemblee, s’informa. «E’ uno scambio intellettuale fra
migliaia di giovani», commenta Martoia. Per esempio, argomenta Max Forno, «abbiamo
scoperto, autoinformandoci, che il campo da calcio di Giaglione è stato fatto
con lo smarino di risulta dell’autostrada, e anche al piazzale della Maddalena,
sotto il cemento, c’è porcheria. Bisognerebbe fare un carotaggio, e sputtanarli».
Aggiunge, e questo basta per tutto, per tutti i fantasmi: «In Italia la polvere
si scopa sempre sotto il tappeto».
Stefano Rotta
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Marcia pacifica fra Giaglione (TO) e il cantiere della Val Clarea. 4 marzo 2012. |
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Fatima Ipenza, per l’esproprio del castagneto di famiglia, ha diritto ha un rimborso dallo Stato di 23.25 euro l’anno. |
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Alex Martoia, 39 anni, tecnico del suono, No Tav. Sant’Antonino di Susa, (TO) |
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Maschere antigas, per prevenire i lacrimogeni Cs usati dalle Forze dell’ordine. |
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Alex Martoia mostra il filo spinato “israeliano” con cui è presidiato il cantiere della Val Clarea. |
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Pierino Ronsil, vignaiolo. Chiomonte. |
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Barricate nel cantiere della Val Clarea, in attesa della ditta costruttrice, la Cmc di Ravenna. Chiomonte, 16 aprile 2012. |
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Nei castagneti della Val Clarea, cordone del Reparto Mobile. Protesta allegra di alcuni clown del gruppo |
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Edifici e capannoni che ospitano attività artigianali, saranno abbattuti, nel progetto di realizzazione del tunnel di base Tav verso la Francia. Vaie (TO) |
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Commerciante di Vino. Sant’Antonino di Susa. |
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Barricate nel cantiere della Val Clarea, in attesa della ditta costruttrice, la Cmc di Ravenna. Chiomonte, 16 aprile 2012. |
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Un No Tav riceve avvisi di garanzia a seguito dei fatti del 27 febbraio 2012, in cui cadde Luca Abba’. |
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Max Forno, anarchico, No Tav, reduce della missione Ibis in Somalia. Partecipò alla sanguinosa battaglia del Checkpoint Pasta. |
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Un anziano No Tav mostra le contusione seguite agli scontri con le forze dell’ordine. |